CARDIOLOGIA: L’IMPIANTO CON CATETERE DI VALVOLA AORTICA, UNA TECNICA SALVAVITA CHE NECESSITA DI MAGGIORE ATTENZIONE DA PARTE DEL SISTEMA SANITARIO NAZIONALE

Era il 7 giugno 2007, Corrado Tamburino, Professore di Cardiologia e Direttore del Dipartimento cardiovascolare, Ospedale Ferrarotto, Università degli studi di Catania,  e la sua equipe, effettuavano, per la prima volta in Italia, un intervento TAVI (Transcatheter Aortic Valve Implantation o impianto di valvola aortica per via transcatetere).

Questa procedura innovativa, con la quale è possibile intervenire per rimpiazzare la valvola aortica danneggiata senza aprire il torace, è stata messa a punto nel 2002 dal cardiologo francese Alain Cribier per curare la stenosi aortica – ossia il restringimento che rende difficile il passaggio del sangue dal cuore all’aorta – senza intervento cardochirurgico a cuore aperto, consente di inserire la valvola sostitutiva attraverso l’arteria femorale o la punta del cuore, praticando in questo caso una piccola incisione tra le coste.

La TAVI sarà al centro dell’attenzione del Congresso internazionale “Valve Summit 2012”, organizzato e coordinato ad Acireale dallo stesso prof. Tamburino che vanta oggi una delle maggiori esperienze di TAVI in Europa, con 300 interventi effettuati.

“Recentemente l’autorevole New England Journal of Medicine – spiega Tamburino –  ha pubblicato i dati della seconda parte dello studio Partner, che mette a confronto gli esiti dell’intervento tradizionale di cardiochirurgia con quelli della TAVI. Il risultato, per quanto atteso, è stato molto significativo. Nei pazienti con stenosi aortica grave, a 24 mesi dall’intervento, non vi è alcuna differenza: in entrambi i casi 7 pazienti su 10 sopravvivono e 3 no.” Gli ultimi dati dello studio Partner (Two-Year Outcomes after Transcatheter or Surgical Aortic-Valve Replacement, NEJM, marzo 2012) dimostrano infatti che, dopo 24 mesi, la TAVI è efficace quanto la chirurgia a cuore aperto: 33,9% è la mortalità della TAVI, 35% quella con intervento cardiochirurgico tradizionale. Un lieve vantaggio, anche se non statisticamente significativo, per la TAVI, quindi.

“La TAVI è una tecnica salvavita che oggi può permettere a chi non possa essere operato altrimenti, e parliamo di 50.000 persone con stenosi aortica grave nel nostro Paese, di vivere con un’ottima qualità di vita anziché morire entro 12 mesi, come mediamente capita a 1 su 2 di loro”,  dice Tamburino. “I dati dello studio Partner dimostrano esattamente questo. E questa è anche la nostra esperienza quotidiana. I  nostri risultati dal 2007 ad oggi sono del tutto sovrapponibili a quelli del Partner e possiamo dire che anche dopo 3 anni si stabilizzano a una mortalità di circa il 35%”, aggiunge.

L’importanza e la portata di questi dati è facilmente comprensibile se si considerano i vantaggi che la TAVI propone rispetto all’intervento cardochirurgico tradizionale, che comunque, ad oggi, rimane lo standard di riferimento, in quanto tecnica matura, con oltre 50 anni di esperienza alle spalle, come ha chiarito Tamburino. Una volta effettuati gli accertamenti preliminari, TAC ed ecocardiogramma, e se la persona su cui intervenire è in buone condizioni generali, infatti, è possibile programmare l’intervento in modo che il paziente sia ricoverato, venga sottoposto a TAVI e torni a casa per dedicarsi alle consuete attività in non più di una settimana. Anche se bisogna ricordare che spesso questi interventi vengono effettuati in anziani debilitati, la cui gestione è più complicata, con degenze i cui tempi possono essere anche più lunghi. La TAVI evita un atto invasivo come la sternotomia ovvero l’apertura del torace e il ricorso alla circolazione extracorprorea del sangue. Inoltre, nella procedura per via transfemorale, non è necessaria l’anestesia generale: si opera per via percutanea in anestesia locale, a paziente sveglio.

“A fronte di chiari risultati circa l’efficacia di questo intervento, tuttavia, manca nel nostro Paese un’adeguata programmazione nazionale e regionale, che permetta di soddisfare le richieste crescenti per questo tipo di procedura e metta a disposizione dei centri idonei, per professionalità e requisiti strutturali certificati, risorse dedicate ed adeguate – dice ancora Tamburino. La Sicilia è un’isola felice da questo punto di vista. La Regione, in assenza di un DRG nazionale, ha deliberato una propria procedura di rimborso per questo intervento, che permette a noi di effettuarlo e ai cittadini che ne hanno bisogno di essere operati. Ma questo, purtroppo, non accade in tutte le Regioni. Eppure basterebbe analizzare con maggiore attenzione i costi di questo intervento che potrà essere certamente più costoso rispetto all’operazione cardiochirurgica di per sé, ma lo è assai meno per i costi connessi al ricovero e alla convalescenza: meno giornate di degenza, da oltre 15 a meno di 7, di terapia intensiva, da 3 a nessuna, possibilità di evitare il ricorso a cure riabilitative”, conclude Tamburino.

FONTE: HealthCom Consulting Srl