Negli studi scientifici sul cancro alla tiroide poche volte vengono prese in considerazione le necessità psicosociali dei pazienti. Per tale motivo, la Thyroid Cancer Alliance,un’associazione di pazienti e sopravvissuti al tumore, ha sviluppato un questionario che è stato compilato da circa 2400 malati ed ex pazienti in 40 paesi del mondo tra cui l’Italia, grazie al supporto di Genzyme.
Il sondaggio, i cui risultati sono stati pubblicati recentemente su Hormones, rappresenta il più vasto finora e ha affrontato diversi punti, tra cui l’impatto del cancro alla tiroide sulla vita dei pazienti, le differenze negli standard di cura nei diversi paesi e le possibili strategie volte a migliorare le cure attuali.
La grande maggioranza degli intervistati (85 per cento) ha dichiarato di non aver ricevuto, al momento della diagnosi, alcun tipo di supporto psicologico o di informazione chiara riguardo alla malattia e alle cure disponibili e di essersi pertanto rivolta ad altre fonti, prima tra tutte internet, seguita da depliant informativi di organizzazioni dedicate, gruppi di pazienti, libri, medici di famiglia e conoscenti. Inoltre, più di un quarto dei partecipanti, soprattutto in Canada, Regno Unito e Francia, ha aspettato 4 o più settimane per ottenere la prima visita presso un medico specializzato.
Quasi tutti i partecipanti hanno subito una o più operazioni chirurgiche al collo e le complicazioni menzionate più frequentemente sono state ipocalcemia (40 per cento), problemi alla voce (35 per cento) e difficoltà a muovere il collo (27 per cento). L’84 per cento degli intervistati si è sottoposto a terapia con iodio radioattivo e, tra questi, l’80 per cento ha riportato effetti collaterali nel periodo immediatamente successivo al trattamento, tra cui alterazione del gusto, dolore e nausea.
L’80 per cento dei pazienti sottoposti a terapia con iodio radioattivo ha sospeso l’assunzione degli ormoni tiroidei e spesso sono stati riportati sintomi di ipotiroidismo, tra cui debolezza (99 per cento), incapacità di concentrazione (76 per cento) e depressione (54 per cento).
L’ormone rhTSH (ormone stimolatore della tiroide ricombinante) è stato offerto come alternativa al 37 per cento dei partecipanti e ha permesso una netta riduzione degli effetti collaterali: nel 13 per cento dei casi è stata riportata debolezza, nel 12 per cento mal di testa e nel 9 per cento nausea e, tra i pazienti che hanno espresso una preferenza, l’87 per cento ha favorito l’rhTSH, il 3 per cento la sospensione degli ormoni e il 10 nessuno dei due.
La parte successiva del sondaggio riguardava infine gli aspetti più difficili da affrontare e i suggerimenti per migliorare le cure attuali. Il 24 per cento degli intervistati ha nominato come gli aspetti più duri da affrontare il momento della diagnosi e il 22 per cento l’incertezza per il futuro, mentre il 16 per cento ha segnalato l’assenza di supporto psicologico e l’11 per cento gli effetti collaterali della terapia.
I suggerimenti proposti più frequentemente sono stati il miglioramento delle informazioni date riguardo alla malattia e alle cure (45 per cento), l’indirizzamento verso gruppi di pazienti (42 per cento), la necessità di supporto psicologico (43 per cento), la maggiore rapidità nell’ottenere i risultati degli esami (24 per cento) e l’accessibilità ai centri di cura (16 per cento).